Richard ha scritto:
Shito ha scritto:
Salve a tutti,
Il compito di un bravo adattatore non è solo quello di adattare in una lingua straniera la parte letterale di un testo, ma anche e soprattutto quello di comprendere e recepire l'intento dell'opera e dell'autore per poterlo trasmettere in maniera esatta.
Non credo che abbia senso parlare di 'parte letterale' di un testo. Piuttosto diremo che in ogni testo espresso in qualsiasi lingua esiste una 'forma morfosintattica' e un 'contenuto semantico'. Ovvero, forma e contenuto. Come ho dimostrato nell'esempio pratico, è sempre il contenuto che viene reso nelle forme morfosintattiche della propria lingua, analizzando il contenuto originale nonché le forme originali in cui era espresso, e il loro significato.
Cita:
Questo significa che in una scala piramidale la traduzione in quanto tale e l'attinenza al testo originale si collocano uno o più gradini sotto la trasposizione dell'intenzione.
Se un autore intende trasmettere l'idea di "andare al mare" con un verbo che trova il suo corrispettivo in italiano, ma in italiano tale verbo è inusuale allora io, da bravo adattatore, ho il compito di trovare quel verbo che nella lingua risultante abbia semanticamente lo stesso ruolo, nonostante dal punto di vista linguistico o etimologico sia più corretta la prima opzione.
Credo che, soprattutto nella prima frase, sia espresso un punto assurdo se non folle. I processi alle intenzioni sono presuntivi. Di obiettivo c'è il testo, e a quello, conoscendo la lingua, bisogna attenersi. L'interpretazione del testo altrui non è libera, poiché al testo altrui bisogna atteneresi. Dopo la prima frase, trovo invece espresso il canone di una traduzione corretta salvo l'errato uso del conceto di 'uso' ovvero del canone di 'usuale/inusuale'. Chi lo stabilisce? Mentre cosa sia corretto in italiano può essere stabilito in maniera (relativamente) chiara e obiettiva, ciò che è usuale è per lo più presunto dalla presunzione del singolo: ciascuno pensa di conoscere "l'italiano normale", ma non è mai così, e nessun testo lo sancisce. Indi per cui, usare un ittaliano corretto e precisamente fedele all'originale p obiettivamente possibile e giudicabile, usare un 'italiano usuale' no. Usale per chi? La linguistica fatica già a rilevare quello che si chiama "italiano standard" (ed è l'italiano letterario) e "italiano sub-standard", che vorrebbe esserre l'italiano nazionale, per poi perdersi in variazini diatopiche, diastratiche, diacroniche, senza arrivare ai regionalismi...
Cita:
Proprio per questo motivo nella frase "mi è scaturito il coraggio di vivere" l'adattamento in italiano non è assolutamente corretto.
Si presume che un bambino dodicenne, istruito ed educato che legge la Comedia sappia utilizzare pienamente ed in maniera corretta la sua lingua. Un bambino di tali caratteristiche non pronuncia frasi inusitate, al massimo può creare eleganti sinestesie, una metalessi (che in questo caso, per una trasposizione più ardita, sarebbe stata perfetta) o, perché no, anche zeugmi, ma non parla a sproposito. Questo vuol dire che evidentemente in giapponese la proposizione 湧いてきた si addice al linguaggio pulito di un signorino.
Ed eccoci: tu trovi la frase inusitata, io no. E nessuna delle due cose ha nulla di assoluto, dato che siamo semplicemente due persone diverse. Ciò che è invece assoluto, poiché obiettivo, è che:
1) la frase è espressa in italiano *corrett*. Non esiste un giudizo di correttezza linguistica che si basi sul personale percepito di uso semantico. La frase è grammaticamente, sintatticamente, morfologicamente corretta in italiano. Indi è italiano corretto.
2) la frase rende precisamente il significato della frase giapponese originale.
Il tuo giudizio di "adattamento scorretto", come si vede, si basa unicamente sull'idea che A TE la frase "suoni strana". Ma non vi è nulla di obiettivo in questo. E' un giudizio personale. In questa logica, per te l'adattamento corretto è quello che "suona bene A TE", ovvero "suona naturale A TE", ovvero "suona usuale A TE". Ma tu non sei l'italiano, e neppure l'italiano zero. Non puoi fondare un giudizio di correttezza sul tuo personale senso di 'usualità', riconducendo l'assoluto oggettivo al tuo personale soggettivo: è un processo surrezio del tutto insensato nella sua presunzione.
Cita:
La traduzione più o meno letterale in italiano di questa frase risulta totalmente artificiosa e si confà ad un ragazzino scemo che non sa parlare o, ancor peggio, ad un ragazzetto di borgata che cerca a fatica di costruire un discorso di medio livello collegando tra loro parole a caso, magari ricercate se decontestualizzate, ma sempre a caso. Questa frase in italiano non si addice ad un ragazzino colto, casomai alla sua parodia.
Non credo che un ragazzino di borgata, con tutto il rispetto per la borgata, utilizzi un lessico che tu stesso giudichi troppo ricercato. Trovo il tuo discorso totalmente contraddittorio. In ogni caso, anche in questo caso proponi giudici di valore espressi secondo un metro del tutto personale e soggettivo. Le parole di quella frase sono corrette sul piano sintagmatico e paradigmatico, indi non possono essere frutto di un 'esprimersi faticoso', no. Altrimenti la frase sarebbe sgrammaticata, cosa che obiettivamente non è.
Cita:
Il tuo compito era forse quello di parodiare l'autore? No, dovevi adattarne l'intento.
No. Devo adattarne il testo, la lingua, non l'intento. Dato che non posso fare processi alle intenzioni di un'altra persona. Io potrei 'intendere' l'intento dell'autore e un'altra persona potrebbe intenderlo in altro modo. Questa è interpretazione, e sta semmai a ciascuno, a ogni singolo spettatore, non a chi è -come me-è chiamato a rendere in una lingua il testo di un ALTRO autore.
Cita:
E se il suo intento era quello di far uscire dalla bocca di Shō una frase pulita che esprimesse non il ritorno, ma la comparsa del coraggio di vivere potevi usare un verbo importante che in italiano e in questo contesto sarebbe stato il sinonimo più corretto di "spuntare" e "scaturire", benché etimologicamente diverso: nascere.
Questo verbo, in un costrutto più ricercato (ad esempio "Dentro di me è nato..."), avrebbe mantenuto la peculiarità del linguaggio pulito di Shō pur esprimendo il concetto originario, senza farlo risultare artificioso.
Con quale presunzione si può dire con certezza quale fosse l'intetento di un autore? Se l'autore avesse voluto far dire a Shou "dentro di me è nato" gli avrevvefatto dire "Boku no naka de ***** umareta". Si può dire, in giapponese. Ma l'autore non gli ha fatto dire questo. Gli ha fatto dire altro. Gli ha fatto dire quello che io ho fatto dire in italiano a Shou. Se a te *non piace*, lamentati con l'autore: ma Shou dice quello, non dice altro. E' un fatto, non una mia opinione.
Cita:
Per quanto a volte troppo arditi, gli adattatori scelti da Valeri Manera durante la sua gestione, non avrebbero commesso errori del genere, in quanto adattatori. Che poi fossero manovrati da esigenze di rete questo è un altro discorso, che non ha niente a che fare con la loro qualifica.
Se per te "adattate" il testo altrui significa "modificarlo deliberatamente nel suo contenuto allo scopo di renderlo più comune, piacevole e usuale alle orecchie mie e presuntivamente del mio pubblico", allora credo che tu abbia una idea malsana dell'adattamento, che diviene della tua concezione una illecita 'reinvenzione' del testo altrui, lesiva dell'originalità di un opera che NON appartiene all'adattatore, ma all'autore.
Cita:
Inoltre bisogna distinguere tra opere e opere. Quando nell'intento dell'autore è irrilevante l'origine di un personaggio (ma la fa solo per esigenza, come la nazionalità giapponese dei protagonisti), non ha alcun senso (anzi è altamente deleterio) sfruttare un prodotto per riportare lo spaccato di una società o il suo modo di esprimersi. Questo è esattamente quello che fai, utilizzi questi prodotti per ostentare un'ideologia, in questo caso quella nipponica, o una fazione, in questo caso quella filonipponica. Ma ciò non ha alcun senso se il prodotto NON lo richiede.
Questo significa che non si può e non si devono affiancare opere come "Ponyo" o "Arrietty" a opere come, ad esempio, "Haikara-san ga tōru" (Mademoiselle Anne).
Nulla in un'opera può dirsi irrilevante. Con quale presunzione tu ti arroghi il diritto di giudicare cosa sia nell'intento di un'ALTRA persona (l'autore) rilevante o meno? Tutto il tuo discorso mi pare permeato di un egocentrismo spaventoso: TU sai cosa sia rilevante o meno nella mente di un ALTRO autore? Nella SUA opera? Nel SUO intento? Sai tutto tu di quello che ha fatto un altro, e in base a questo tutto giudichi, cosa cambiare, quando, come perché?
Ma non è semplice, corretto, doverso semplicemente attenersi con umiltà e fedeletà a ciò che quell'autore oggettivamente ha scritto e detto, e sforzarsi quel tanto che basta per capirlo quando viene tradotto correttamente nella propria lingua?
Cita:
Non puoi venire a dire quindi che per tradurre i discorsi in Arrietty hai tenuto principalmente conto della nazionalità dei protagonisti, perché in tal caso avresti commesso un grave errore. Non era necessario, era superfluo. Fossero stati cambogiani, non sarebbe cambiato nulla.
Chi lo decide? Tu? E siccome l'hai deciso tu è così?
Sì, i personaggi di Arrietty sono giapponesi e sono stati concepiti ed espressi da una mente giapponese: quella del loro autore. Questo, vedi, non lo decido io: è un fatto. Che che questo fatto sia significativo non lo dico né decido io, infatti io non l'ho ENFATIZZATO. Ma parimenti non decido che sia insignificante, e così certo non l'ho ANNULLATO. Semplicemente, se i personaggi di Arrietty *tradotti in italiano* non parlano come I Cesaroni, o come un 'comune italiano', è semplicemente perché, che a te piaccia o no, NON SONO italiani. Anche traducendo in italiano ciò che dicono, italiani non sono. Non è che per il tuo personale gusto e sollazzo si debba cambiare ciò che i personaggi SONO, o quello che esprimono, no.
Cita:
In questo caso, è chiaro.
Spero che il mio discorso, nell'evidenziare la fondamentale differenza di visioni che ci separa, abbia reso chiaro a te e a tutti gli altri lettori la differenza fondamentale che c'è nel rispettare un'opera per quella che è, disponendosi con genuina umiltà a fruirla e capirla nel suo contenuto reale, e volerla stravolegere a proprio uso e consumo, un una crassa presunzione consumistica di comodo che non ha alcuna considerazione e rispetto per l'origine contenuto espresso dall'autore.
Cita:
Questo è il motivo per cui autrici come le CLAMP hanno preteso che le edizioni europee di Rayearth traducessero i nomi delle protagoniste con un nome etimologicamente comprensibile dalla cultura europea. Questo perché volevano trasmettere qualcosa sin dal nome e il loro intento era trasmettere quel qualcosa, non l'origine nipponica di talune parole.
E quando qualcuno ha provato a lasciare i nomi originali (si vedano gli OAV), le CLAMP hanno subito fatto fare retromarcia correggendo nuovamente Hikaru, Umi e Fū in Luce, Marina ed Anemone (si veda il ridoppiaggio della serie).
Non ho parlato personalmente con le CLAMP in merito al caso che citi. Non so se il caso che citi, e che pure conosco, sia stato realmente trattato dalle autrici, o dai referenti di produzione, o ancora da altri. Se incontrerò Apapa Mokona glielo chiederò.
Nel caso dei film Ghibli che adatto, fortunatamente ho possibilità di parlare direttamente con il personale dello Studio, indi ti pregherei di non venire a spiegarmi cose simili. Dato non solo proprio io sono nella possibilità di farlo, ma lo faccio realmente. Per esempio, nel caso di Arrietty, tutte le scelte di traduzione di termini quali 'Borrowers', malamente resi nelle precedenti traduzioni italiane di libri e film, sono state ampiamente discusse. E pure sono state discusse le rese dei termini dei personaggi, anch'essi adattati malamente, e pressoché a caso, nei libri italiani.
In Arrietty, dico il film Ghibli, è intesa permeare una diffusa marca anglista. I libri originali sono inglesi, il giardino di Shou è in giardino all'inglese, l'hobby delle doll houses è di marca inglese, l'eccentrico bisononno di Shou (il papà di Sadako che lei nostalgicamente ricorda) era un gentiluomo giapponese fine secolo un po a là Natsume Souseki, che studiò in inghileterra e insegnava letteratura inglese, l'autrice della colonna sonora originale di Arrietty è una arpista bretone che canta in inglese, tutti brani vocali di Arriety sono cantati in inglese salvo il tema finale che ha in inglese la prima riga, e poi diventa giapponese (e quindi, correttamente, fedelmente e PER QUESTA PRECISA RAGIONE, così è nella sua traduzione italiana).
Nelle cose c'è un senso, un senso che va ricercato, compreso, rispettato e NON presuntuosamente etichettato come 'significativo' o 'insignificante' a proprio gusto.
Cita:
Prima di adattare bisogna quindi sempre distinguere qual è la priorità dell'autore: se raccontare una storia, se trasmettere una cultura o se fare entrambe le cose.
Qui ancora una volta tu presumi di sapere cosa pensi un'altra persona.
Cita:
Ho quasi paura che se fossi stato tu a tradurre i dialoghi in italiano di una serie come "Versailles no bara" saresti stato persino capace di far parlare in più occasioni Oscar con frasi astruse solo perché i costrutti dei dialoghi originali nipponici erano così... da francese che era, saresti stato capace di farla diventare giapponese.
Sono felice che tu abbia scelto questo esempio, perché conosco personalmente la signora Ikeda Riyoko e ho parlato con lei più volte, anche della sua opera. Davvero Versailles no Bara è un'opera d'avanguardia settantina giapponese, dove al di là di tutto alla fine la protagonista si riscopre innamorata dell'amico d'infanzia, e si vergona della sbandata per il belloccio di turno. Sicuramente Ikeda-sensei ha messo in Versailles no Bara una certa ricerca storica, questo è obiettivo. Infatti, sappiamo persino quale particolare biografia di Marie Antoinette sia alla base del suo manga. Sicuramente adattando fedelmente Versailles no Bara i personaggi non risulterebbero giapponesi, ma allo stesso modo si noterebbe come quella sia "la storia della Fracia vista da una donna giapponese", così come l'Italia di Aida Yuu ritratta in Gunslinger Girl non è l'italia neorealista di Pasolini, ma quella fantasizzata a distanza da un'autore giapponese.
Semplicemente, manco a dirlo, ogni opera è quella che è, e come tale va apprezzata.
Cita:
Detto questo confido che prima o poi almeno opere come Totoro e Arrietty vengano adattate in italiano, perché nella maniera attuale non sono del tutto piacevoli da ascoltare.
Vedi, forse qui tutto si spiega: tu cerchi la tua personale piacevolezza. Ma l'opera altrui non nasce "per piacere a te". La tua è un'istanza del tutto egoistica, crassa. Un'opera altrui è quella che è. Se la guardi, cosa che non è obbligatoria, ma è una cosa che tu SCEGLI di fare, cerca di capirla. Quando l'avrai capita, decidi se l'apprezzi o meno.
Io non devo 'far piacere' le opere che adatto al pubblico italiano. Io devo presentarle al pubblico italiano per quello che sono. A chi piaceranno, saranno piaciute per quel che erano. A chi non piaceranno, non saranno piaciute per quel che erano. Questo è onesto. Non è obbligatorio che qualcosa piaccia a tutti, e non devo io far sì che gli piaccia.
L'importante è che il legittimissimo giudizio di ciascuno sia basato sulla VERITA' dell'opera, e il mio compito è appunto presentare le opere che adatto nella loro veritiera e onesta realtà
Cita:
E meno male che le canzoni di Kiki, essendo americane, sono state tradotte da Ermavilo, non oso pensare altrimenti a quali assurde apocopi sarei stato costretto ad assistere...
Tristemente, ma forse non lo sai e non te ne curi, l'attuale edizione italiana di Kiki è stata pubblicata con tutta la colonna sonora rimontata dai distributori americani. Che no, NON sono gli autori di Kiki. Come te, quelle persone hanno trovato che la colonna sonora di Kiki fosse "inadatta" al loro pubblico, e l'hanno cambiata. Hanno trovato che il film non fosse abbastanza divertente, e hanno aggiunto dialoghi inventati ovunque.
Nel confezionare l'edizione italiana, ho potuto ritornare al testo giapponese, ma purtroppo non ho avuto la possibilità di ripristinare la colonna sonora originale. E' una cosa per cui ho sofferto molto.
Dalla radio di Kiki veniva fuori una canzone anni settantata, un boogie. Così aveva deciso di Miyazaki. Il brutto è che per colpa di altre persone tu non l'abbia potuto sapere, e tu non abbia potuto giudicare se la cosa ti piacesse o meno. Non importa se poi ti sarebbe piaciuta o meno: importache Miyazaki, nella SUA opera, ha fatto così. E tu questo avresti dovuto giudicare, non l'inganno di altre persone che Miyazaki non erano.