ho finalmente avuto tempo di leggerlo. Mi complimento per il lavoro, innanzitutto.
Ho sempre visto EVA come un prodotto della postmodernità.
Dato che non c'ho voglia di ripensarci incollo un messaggio che scrissi in un newsgroup qualche tempo dopo la messa in onda dell'ultima puntata:
Il finale mi ha soddisfatto. La scena finale mi ricorda il film di Woody
Allen "decostruction Henry", in cui i personaggi che lui aveva creato gli
tributano un applauso.
loro sono soltanto tanti frammenti dell'io dell'autore, come le persone
che stavano vicino a Shinji erano i frammenti dell' io che Shinji
rifiutava , almeno fino all'ultima scena, in cui finalmente dichiara di
aver accettato la propria condizione, e accetta quindi di essere uno
nessuno e centomila.
Cosa c'entrano gli eva? forse la loro natura tecnologica e mistica e'
la sintesi perfetta di un uomo che accetta l'impossibilita' di trovare
risposte alle domande che ossessivamente ognuno di noi si pone, tra cui
quella fondamentale "chi sono?" , domanda che andrebbe sostituita con
"quanti sono io?".
Gli eva sono una soluzione narrativa come tante altre, l'autore ha scelto
il genere fantascienza, ma avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro
genere per rappresentare sulla pellicola i suoi dubbi metafisici.
Infatti nel finale si vedono spezzoni di una storia inesistente, una
Tokio in cui Shinji e' uno svogliato scolaro, Rei una spigliata ragazza
come tante altre (con i soliti ammiccanti riferimenti alla biancheria
intima)... un mondo narrativo diverso ma probabile,gia' conosciuto a
tutti gli appassionati di anime giapponesi.
All'autore sarebbe bastato strappare quel foglio di carta su cui e'
scritta la sceneggiatura (foglio che si vede ad un certo punto della
puntata, espediente metanarrativo) e ricominciare daccapo, e al termine
della 26^ puntata probabilmente avrebbe raggiunto gli stessi risultati.