Caro Mitokomin, come sempre riesci sempre a toccare degli ambiti della questione intera mia interiore che, mi sono accorto, da sempre un po' mi lega al tuo modo di vedere le cose, in special modo relativamente ai cartoni animati e alle loro sigle.
Che posso dirti. Credo che il collante fra i mondi che si toccano sia, più che lo spazio, proprio il tempo. Mi accorgo ogni giorno di più (anche se ho pause di vita in cui me lo scordo) che sono proprio i cartoni, i ricordi dell'inanzia e le loro melodie a restituirmi alla vita in modo piacevole e romantico davvero. La musica lenta che accompagna i ricordi (fissata in testa da fotogrammi che mi ritraggono preso accanto alla televisione, ai miei dischi e ai miei giocattoli) suggerisce altre musiche, invece, veloci ed elettrizzanti.
Fatica, sudore, botte di un'esistenza, la mia, che ha avuto come sua colonna sonora, incastrata fra i Beatles e i Pink Floyd, fra Guccini e Branduardi, fra i Modena City Ramblers e De Andrè, fra i Rolling Stones e Bob Dylan, fra Alberto Camerini e Alberto Fortis, fra la Bandabardò e i 99 Posse, proprio Fogus e i Cavalieri del Re, proprio i Superobots e le Mele Verdi, proprio i Fratelli Balestra e Giorgia Lepore... Un'esistenza, sempre la mia, fagocitata culturalmente da carezze di marxismo e di socialismo ideale, laddove, però, ho voluto allegoricamente inserire le battaglie eroiche e solitarie di Kyashan, Polimar e Actarus per darmi un tono di ingenuità occorrente; battaglie nella mia testa travisate dalla voglia (e dalla necessità) di fare gruppo, come nella Takeo General così come nella squadra G o nella scuderia Sayongi. Un insieme di morbide durezze, inoltre, caldamente fredde e gelidamente piene di calore come l'animo di Hiroshi Shiba o di Peter Rey. E, anche, di Ken Hayabusa. La debolezza umana ma il coraggio impenitente di Watta Takeo.
Un ventaglio di personaggi di giusta condivisione. Se i miei barlumi d'ideale mi vengono da John Lennon e da Benigni, e se anche, magari, ammiro Umberto Eco e Alessandro Bergonzoni, mi accorgo che l'imprinting di vita possono avermelo donato, prima ancora, Teppei Uesugi, George Minami e quel Koichi Babil Junior che, in modo vario e difforme, m'hanno fatto specchiar dentro di loro per accorgermi che tipo di differenze potessi scorgermi nell'anima...
E se oggi mi trovo disamorato dal calcio per le vicende note che stupiscono nemmeno tanto chi ama il pallone per davvero e detesta sentir parlare di profitti, di ingaggi (e di quanto sono gli ingaggi), di discorsi da mafiosi che vengono da più parti intorno alla pelota, mi trovo ancor di più a rileggere dentro me quello che ho sempre creduto: le risorse umane, emotive, culturali e di leggerezza che mi vengono dai cartoni animati del mio essere bambino non verranno mai scalfite da ciò che, altrove nella vita, mi trova, mi ha trovato e mi troverà inerme, deluso e sconfitto innanzi agli imprevisti. E qui si riapre il discorso sulla colonna sonora di una vita.
La colonna sonora di una vita. L'unica, lo penso a volte, che poteva esserci per me. E per me medesimo. Al di là di tutti gli altri riferimenti culturali e di studio che nel sentiero esistenziale mi hanno formato. Le sigle riportano alla mente tutto un insieme di stati d'animo che mi funzionano da antidepresivo, uno spot alla sconfitta del dolore o dei pensieri, un rifugio sicuro di cui non mi vergogno nemmeno a 32 anni, e che mi permetteranno di godermi la responsabilità, fra un po' di anni, di invecchiare sereno. Nemmeno mi spaventa, questa eventualità. E nemmeno mi metto a dire <<Questa si sente bene, questa si sente male...>>, <<Questa è suonata meglio, questa è suonata peggio..>>, <<Lo stile di questa mi va, lo stile di questa non mi va...>> perchè altrimenti mi trarrei altrove, rispetto al vissuto, il principe dei miei desideri, lì per lì: le voglio vivere. Le voglio vivere eterne, le mie sigle... Accendono quello che ho dentro, le mie sigle, e mettono a fuoco i miei vissuti, soprattutto emotivi.
Ogni volta, insomma, che mi trovo di fronte a qualcosa che non si definisce, o che non capisco, mi arriva, nel pensiero, il mio robottone di turno a salvarmi l'anima e a distruggere fisicamente l'avversario. Con la sua immagine o con (più spesso) la sua sigla galoppante. Dandomi un presente piacevole, un futuro da misurare e, soprattutto, e più di tutto, un passato da amare.
WATTA Old Style TAKEO
_________________ <<Senti ragazzo: nella tua stanza, tra i manifesti degli eroi, lasciagli un posto perchè tu, da grande, di lui ti ricorderai...>> - Superobots, "Ken Falco"
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